Remigio Strinati

Presentazione di Remigio Strinati per il catalogo della mostra alla Camerata degli artisti (1930)

Castellana è un giovane palermitano che le vicende della vita han trapiantato alle radici delle Alpi: da Milano a Torino. Sono trasferimenti questi che ai fervidi ingegni giovano immensamente perché quanto in essi ribolle, trova una disciplina che implica selezione, ordine, e cioè fattori essenziali di stile. Nel caso specifico poi dello scultore che presentiamo, oltre la ventura del passaggio da ambiente ad ambiente, toccarono a lui altri doni di prim’ordine: uno, di non essere costretto a frequentare accademie; l’altro, di avere, dopo le prime schermaglie, ricevuto come il crisma della confermazione da chi poteva darglielo con piena cognizione di causa: Adolfo Wildt. Ripigliando il discorso dal cenno alle Accademie, non c’è nessuno che le rispetti quanto me; ma per non limitarsi, come pur dovrebbero, ad insegnare il mestiere, tendono a livellare gli ingegni, e troppo spesso sfornano professori di disegno, non artisti. Si dirà che questa è teoria ed astrazione; se però ci levassimo il gusto d’impiantare una statistica partendo dalle origini di formazione di pittori e scultori, la parte del leone non sarebbe facile strapparla agli autodidatti. Stranamente avvenne, or è qualche anno, il primo colloquio Castellana-Wildt.

L’uno non conosceva l’altro; però il primo era rimasto scosso dalla scultura del maestro, e aveva avuto occasione di studiar il volto tipico di lui. Un giorno lo modellò e andò di punto in bianco a presentargli la maschera nello studio. Il resto si indovina; e mi piace aggiungere che anche un artista, che è agli antipodi di Wiltd, comprende e gusta l’arte del Castellana: Leonardo Bistolfi; perché uno dei segni dell’altezza di un intelletto è proprio quello di capire e di rispettare ciò che con fede ed acume si fa sull’altra sponda.

Castellana espose da Bardi a Milano nel 1929; poi nel ’30 al “Circolo della Stampa” a Torino.

Mortalibus nil arduum est, scrisse il poeta; non pertanto non è men vero che la scultura è molto difficile; e quando Michelangelo asseriva che le statue tutto sta a saperle scoprire nel blocchi di marmo, dove vivono bell’e pronte, era evidentemente di buonumore. E poiché siamo incappati nel Cinquecento e nel gran fiorentino, a riflettere bene ha veramente valore di simbolo il fatto narrato dal Vasari, del rocchio serravezziano sciupato nell’opera di S. Maria del Fiore da uno scultorello da dozzina: sciupato, poi abbandonato, mentre c’era dentro il David, quello dell’Accademia! Se non tutti si danno alla fuga come il loro collega del Rinascimento, la " folla " che non molla appar tocca da sterilità ed opera senza infamia e senza lode, Da troppo tempo, ahime! Dopo lì il Barocco e l’agitato Bernini, quali nomi spigoliamo nei Rococò? e quali nell’Ottocento? e quali scuole s’incidono nelle due epoche? e può bastare Il nome del Canova, anche a prescindere dalle premesse intellettualistiche ed intransigenti del credo neoclassico per non guardare che alle eccellenti dotazioni naturali dell’artista, può bastare a empire due secoli? Si intuisce perché sia arduo affermarsi nella plastica. Chi fabbrica, adeguato l’edificio al compito che lo suggerisce, trovati buoni rapporti geometrici di spazio, stabilita l’equivalenza tra supporti e pesi, ha compiuto egregia opera di architettura; e per un pittore, specie del periodo impressionista, quando sulla tela sia efficacemente trasferita la sensazione dei fenomeno atmosferico e del carattere luminoso dell’ora, la meta non è lontana. Non si vuoi dire che architettare e dipingere sia roba da tutti; si vuol dire che le due arti non esigono quanto alla scultura risulta indispensabile, offrendo a un tempo ai loro cultori assai maggior messe di risorse. Lo scultore, privo di colore, privo di prospettiva (si parla di “tutto tondo”) privo di decorazione, non ha scampo che nel mondo interiore; e ha da rivelarlo movendosi entro la cornice della forma, solo disponendo di pesi, linee ed ombre. Se il pensiero si spenga o magari soltanto si appanni, la statua diventa “cosa”; gioverà come cariatide o telamone, come abitatrice di edicole; ma, trasformata in fregio, cesserà di essere, nell’accezione integrale del termine, scultura.

Appunto per non naufragare il Castellana v’e in attività su criteri e con atteggiamenti propri. La raccolta ospitata dalla “Camerata” proclama senza possibilità di equivoci che la sua scultura ha prette radici cerebrali. Uno spettacolo, una persona colpiscono la fantasia dell’artista; questa contingenza non suggerisce senz’altro il fatto estetico, ma piuttosto il desiderio di replicate osservazioni, l’elaborazione lenta, attenta del tema, e di ogni genere di attinenze, offertosi prima per caso, poi cercato. A un certo momento un concetto lucido sorge dal caos: e allora il lapis o la creta entrano in funzione.

Quanti non han plasmato il viso del Capo del Governo; e anche il Castellana; piacerà o non piacerà, ma non c’è contestazione nel fatto che il solo Castellana l’ha veduto e ricostruito così. Si osserverà che la forma umana non è qui la consueta: e forse la condanna prude impaziente a fior di labbra. Adagio: occorre vedere da dove parte e per quali vie vuole l’artista arrivare al suo intento; intanto resti pacifico ch’egli non vagheggia pigliar il là dal Quattrocento. Parte sempre dal vero che scruta a lungo a braccia conserte, stampandoselo non nella retina ma nel cervello; ne fa suo nutrimento; iniziando il lavoro rievoca il modello, che torna cosa viva e docile, non subbietto inerte e autoritario; e che s’incarna nell’opera d’arte come simbolo ed astrazione. Vedere il “Nudo sintetico” evidentemente non vincolato ad aspetti parziali e caduchi. Si converrà che per arrivare a un mondo metafisico la strada migliore non è l’aderenza al verismo; e che buone ragioni tattiche sono alle spalle di talune violenze formali. Ma, in sostanza, a che cosa mira il Castellana con la sua cerebralità e la sua aspirazione alla universalità? Semplicemente a individuare un carattere, ad isolare un concetto; perché, senza codazzo di aggeggi, s’incastoni come puro spirito nei quadro del nostro patrimonio intimo.

A proposito della scultura del Castellana, ho sentito rammentare Wildt e Medardo Rossi: il ricordo è lusinghiero, e non del tutto cervellotico anche se casuale ed esterno; sta però di fatto che l’artista, conscio della missione asperrima, forse appunto per questo, non s’è voluto mettere al seguito di nessuno.

REMIGIO STRINATI